Ocean Dome: il paradiso (finto) dei surfisti (veri)
MARE VERO, MARE FINTO
L'OCEAN DOME E IL SURF INDOOR IN GIAPPONE
(MAX, Agosto 2007)
300m. di lunghezza per 100 m. di larghezza per 38 m. di altezza.
Temperature costanti di 30° C per l’aria e di 28°C per l’acqua.
Sabbia finissima, spiagge linde, un vulcano attivo, vegetazione tropicale.
E un oceano dentro.
Finto.
Scivoli, vasche per bambini, onde per surfisti, spettacoli teatrali.
Cucina tipica, boutiques, cinema, capienza di più di 10.000 persone.
Giochi di luce, cielo sereno, tetto retraibile.
E affaccio sull’Oceano.
Quello vero.
È stato progettato dalla Mitsubishi Company.
È costato due bilioni di dollari.
È destabilizzante e sbalorditivo.
È annoverato nel Guinness dei Primati come il più grande parco acquatico indoor del mondo.
Si chiama OCEAN DOME, e si trova in Giappone.
[continua...]
Già, perché proprio di un parco acquatico stiamo parlando, la cui
particolarità non è solo la grandezza, ma il fatto che sia un parco
acquatico contenuto in una struttura chiusa che è parte integrante del
SeaGaia Resort, un’area di circa 700 ettari e di 10 Km di estensione in
lunghezza situata sulla Hitotsuba Coast, nella prefettura di Miyazaki
sull’Isola di Kyushu, dove il clima è abbastanza temperato per una
buona parte dell’anno.
Seagaia non è un termine giapponese, ma un neologismo che vede
l’inglese “sea” (mare) e il greco “gaia” (terra) uniti in un’unica
parola per significare appunto le caratteristiche del luogo, fatto di
foreste meravigliose, spiagge lunghe e deserte, e tanto mare.
La domanda a questo punto sorge spontanea: perché pagare quasi 90.00
US$ (tanto costa l’ingresso per un giorno se non si è ospiti del
Seagaia Resort) quando poco più in là si può godere di una vera
spiaggia, di un vero oceano, e tutto gratis?
A dare una spiegazione, il signor Takashi San, per moltissimi anni addetto alle relazioni esterne per l’Ocean Dome:
“In Giappone non è come in Italia: qui nevica, piove, fa freddo o
semplicemente c’è brutto tempo molto spesso. Realisticamente, possiamo
dire che in un anno si riesce ad andare in spiaggia – quella vera –
solo per quattro mesi, ma senza una certezza di continuità a livello di
bel tempo. Non è così astruso un luogo come questo, quindi, che lascia
entrare il sole, l’aria e il tepore naturali quando fuori il clima lo
permette, ma che assicura cielo blu, cirri, caldo e luce quando c’è
maltempo”.
Gli chiedo se un po’ non c’entra anche tutto il fatto dell’inquinamento
ambientale fra i motivi per cui i Giapponesi non amano molto l’idea di
andare al loro mare vero: in fondo tutti ricordano l’avvelenamento da
mercurio della baia di Minimata e come, fra gli anni ’60 e ’70, fossero
sorte altre malattie connesse all’inquinamento delle acque, tipo la
malattia itai-itai o l’avvelenamento cronico di arsenico del distretto
di Toroku, proprio nella prefettura di Miyazaki.
Mi risponde che questa è acqua (è proprio il caso di dirlo) passata:
dalla fine degli anni ’60 sono state infatti stabilite leggi
rigidissime sugli standard di sicurezza per la protezione dell’ambiente
e della salute dell’uomo. Leggi così efficaci, tanto che la famigerata
Baia di Minimata è stata di recente dichiarata sicura.
Quindi il mare è pulito.
Possibile allora che sia veramente solo una questione di brutto tempo?
Perché 2 bilioni di dollari, di cui un terzo finanziato con denaro
pubblico, per costruire un parco acquatico non sono proprio pochi...
Provo a sentire il punto di vista di un non giapponese che però con l’Ocean Dome ha avuto molto a che fare.
Si tratta di Matthew Pitts, surfista australiano di fama internazionale
che per diversi anni ha lavorato al Dome come “attrazione” principale.
“Ho iniziato a lavorare con il Dome appena aprì i battenti e sono stato
lì fino alla prima chiusura, nel 1999 [l’Ocean Dome ha chiuso più
volte, l’ultima nel 2002 a seguito di una procedura fallimentare,
n.d.r]. Svolgevo il lavoro migliore del mondo per un surfista: pagato
per stare sempre sul surf. Oltre a performance di surf sulle onde più
difficili, interpretavo anche il protagonista di uno spettacolo
teatrale-acquatico, con ballerini sulla spiaggia, io e altri quattro
colleghi sulle onde e proiezioni 3D sul megaschermo alle spalle. Un
sogno.”
Ma cosa provavi a stare chiuso là dentro con le onde vere a poche centinaia di metri?
“Nel tempo libero andavo ovviamente a fare surf sull’Oceano vero. Però
devo ammettere che l’Ocean Dome è un posto estremamente affascinante: i
Giapponesi ci sanno fare con i parchi divertimento e sanno come non
deludere, che si tratti di surfisti principianti oppure professionisti”
Ecco, i Giapponesi, appunto: mi confermi che hanno fatto questo po’ po’
di investimento solo perché il brutto tempo non permette loro di
godersi le spiagge per più di neanche 4 mesi all’anno?
Matthew ridacchia e allora insisto: non è invece che preferiscono
situazioni straorganizzate all’incertezza che qualcosa vada storto?
“Questo è uno dei punti certi: fra rischiare che non si possa fare surf
perché non ci sono onde buone e farlo nel momento esatto in cui
decidono che lo vogliono fare, preferiscono la seconda. Un Oceano non
lo controlli... il Dome sì. Poi, vuoi mettere la sicurezza di
temperature costanti, di nessun pericolo, del divertimento garantito...
odiano l’idea di non aver nulla da fare o giacere magari sotto il sole
stando inattivi. Al Dome, è impossibile invece stare fermi. Ma c’è
anche un altro motivo: hanno l’idea fissa di voler sempre sfruttare
economicamente il divertimento. E sanno bene che se spingono l’uso
delle spiagge naturali, guadagnano meno che nel costruire situazioni
come l’Ocean Dome.”
Eppure l’Ocean Dome ha diverse volte dichiarato bancarotta...
“Però poi ha sempre riaperto... È un posto che difficilmente fallirà
sul serio. Ci sono frequentatori del Dome – e non pochi - disposti a
pagare anche 1.500 US$ per sessioni di surf singole di un’ora e mezza.
E il posto non conosce cali: è sempre pieno.”
Che questo oceano bonsai sia sempre pieno lo conferma anche la visione
che appare all’ingresso: brulica di “bagnanti” con costumi dai mille
colori e dalle mille fogge. Mi annoto mentalmente che voglio
individuare quanti indossano costumi normali e quanti, invece, quelli
creati da Ujiteru Niwa, patron della Toray e inventore dei costumi che
non si bagnano mai e di quelli antisabbia.
Comunque Rimini d’estate, in confronto, è roba da dilettanti.
E diventeremo dilettanti anche in fatto di abbronzatura, ora che
l’abbronzatura sta diventando un must soprattutto fra i nuovi gruppi di
ragazze trasgressive nei modi e nel look come le Yamaba e le Ganguro
Gyaru (ganguro, in giapponese, significa abbronzatura).
Mi viene infatti spiegato che fino a poco tempo fa, in Giappone
l’abbronzatura era considerata per niente sexy mentre ora, nelle fasce
più giovani, invece piace perché occidentalizza e caratterizza.
Per cui all’Ocean Dome si sono adattati alle nuove esigenze, offrendo
alle bad girls ribelli che hanno l’usanza di abbronzarsi
artificialmente come segno distintivo, l’opportunità di rosolarsi in
tutta tranquillità con appositi lettini.
Trasgressione sì, ma senza scottarsi.
E dunque tirando le somme - sia che lo vediate come una mostruosità
artificiale creata da un popolo monomaniacale o come una meraviglia
della tecnica partorita da menti geniali – è comunque un luogo
sorprendente, assurdo. Spaziale.
Anzi così fantascientifico che, guardandomi intorno mentre sono avvolta
dall’estate perenne dell’Ocean Dome, non riesco a non pensare ai
bradburiani astronauti di “The long rain” dentro l’ultima cupola
solare. E mi sento felice.
Ora so dove andare, in caso di una nuova pioggia senza fine.
Note:
articolo pubblicato su MAX, Agosto 2007
testo: Serena Guidobaldi
fotografie: copyright Elena Formenti, 2007
foto1 - interno dell'Ocean Dome
foto2 - l'oceano vero, a poche centinaia di metri dall'Ocean Dome
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