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Gli amici di Sarah: «L'hanno presa Ormai siamo sicuri che è morta»
Gli amici di Sarah: «L'hanno presa Ormai siamo sicuri che è morta»
AVETRANA (Taranto) - Piove. Piove così duro che i sub devono sospendere le ricerche a mare appena iniziate. Lui sbuca nella pioggia da un furgone Fiat rosso ruggine, quello che gli serve per fare le consegne di volantini, il suo lavoro. E dice misterioso: «Venite dentro, al bar non ci parlo con voi». Dentro, dal sedile del guidatore, si gira e sussurra: «È morta, sono sicuro che Sarah è morta». Carlo Alessio ha 27 anni, una barba che gliene fa dimostrare dieci di più e una fissa, la fisima della vita: diventare una star rockettara. «Suono da quando c'ho dieci anni, ho fatto tre cd, se cerchi "La guida instabile" su Internet, beh, sono io... ma adesso non fate sembrare che voglio pubblicità su 'sta storia!».
La «storia», da ieri un sequestro di persona anche per i fascicoli della Procura, è il rebus di questa fine estate, per il quale ad Avetrana sono arrivati i profiler del Racis, gli specialisti dei carabinieri, ma s'aggirano anche veggenti e sensitivi, si spulcia Facebook e si spera persino nel satellite che forse, chissà, potrebbe aver ripreso qualcosa, il 26 agosto. Era giovedì, nove giorni fa, quando è sparita Sarah Scazzi, quindici anni, nei 700 metri che dividono la sua casa, vicolo II Verdi, dalla casa di Sabrina, la cugina mitica, 22 anni, quella che l'ha tirata nel giro dei grandi con Carlo, con Ivano, coetaneo di Carlo: uscivano a quattro da maggio, tornavano anche alle tre di notte, dodici anni di differenza coi due ragazzi, che diavolo c'entrava Sarah con loro? Nel furgone Fiat, Carlo si spazientisce: «Voi giornalisti dovete smetterla di scrivere baggianate sul giro degli amici! Se no poi i carabinieri si mettono a indagare su di noi ed è la strada sbagliata. Qualcuno se l'è presa, Sarah, e adesso, dopo tanti giorni, sono sicuro che è morta... non pensare male, giornalista, lei era la nostra mascotte, la coccolavamo, passavamo sere al Pub 102, qua vicino, a dirle barzellette... lei manco beveva, solo succhi di frutta... alla festa di San Biagio tutti i peluche del tirassegno li regalavamo a lei... Un porco se l'è pigliata». Ma chi poteva mai attrarre?, dicono paresse una bambina... «Macché, poteva attrarre eccome, hai voglia se poteva!», è la risposta, che suona come un'unghia spezzata su una lavagna.
Tutto è così, quaggiù, sospeso tra l'innocenza più banale e il male più nascosto, come le fisime dark di Sarah (Sarah con l'acca, perché sprovincializza), Marilyn Manson e gli Slipknot nei poster appiccicati sul muro della sua stanzetta, tra demoni e teschi. Quella stanzetta tanto assurda e tanto comune, con due scaffali pieni dei peluche regalati da Ivano e Carlo: la camera che i genitori hanno mostrato e rimostrato dall'inizio, a tutti, anche ieri, aprendo cassetti, agende, album a qualsiasi richiesta. Perché questa è una storia asciutta, senza lacrime, in cui tutti sembrano recitare fuori copione, forse perché mamma Concetta e papà Giacomo sono così semplici da non avere mai imparato nemmeno a riconoscere le emozioni, o così umili da pensare di dover dire sempre sì ai «dottori» venuti da fuori paese; forse perché lui è via da anni, operaio a Milano, ormai con un'altra vita, torna solo d'estate e a chi gli chiede com'è la figlia dice «boh? Domandatelo a mia moglie»; forse perché lei, col suo henné rosso fiamma e le occhiaie profonde, diventata testimone di Geova nel periodo passato al nord col marito, è sfiancata da un'esistenza tosta e arida, e parla di Sarah come di una che passava: «Mai studiato, lei, stava tutto il tempo a ritagliare queste schifezze qua nella camera, maghi, zombie e vampiri, che non sono una bella cosa, no?».
Chissà se Sarah rabbrividiva qua dentro, chissà se anche da questo voleva scappare, inventandosi un profilo Facebook da Buffy l'ammazzavampiri o aggrappandosi a Sabrina, appena un po' meno mitica di Avril Lavigne, mito dei miti, la cantante preferita. Per saperlo, ancora ieri Fabrizio Viva, il luogotenente di Avetrana, ha sentito tre ragazzine, tre amichette. Ora Sabrina scuote la testa, «ho brutte sensazioni, mi sa che è morta», dice, anche lei senza un decibel spettinato, mentre con la madre Cosima, sorella di Concetta, va da un fotografo a riprodurre il filmino di una festa da dare a una tv, perché nel dvd c'è Sarah, ci sono tutti loro. Le tv sono molto importanti in questa storia: dicono che Claudio, il figlio grande degli Scazzi, che oggi torna da Milano, precario in un call center, abbia passato giorni a contattare «le tv del nord». «Chi l'ha ammazzata non ha avuto proprio cuore» dice ancora Sabrina, e la frase suona incongrua come quella di Carlo sulla bellezza della ragazzina.
In questo paese che non esiste, Sarah è un'occasione per esistere. Diventa importante persino il pupazzo «Spongie Bob» che le regalò Ivano, sicché lei scrisse sul diario «a Ivano voglio un sacco bene» e il ragazzo anche per questo è stato torchiato ore in caserma. Finché Sarah non si trova, acquista senso persino il budello di settecento metri da cui è svanita e che ieri il colonnello Di Blasio ha ripercorso, passo dopo passo, coi suoi carabinieri. Come se una porta, in quel budello di viuzze, si fosse aperta di botto il 26 agosto, ingoiando in un buco nero una bambina che cresceva in fretta.
Dal corriere.it.
La «storia», da ieri un sequestro di persona anche per i fascicoli della Procura, è il rebus di questa fine estate, per il quale ad Avetrana sono arrivati i profiler del Racis, gli specialisti dei carabinieri, ma s'aggirano anche veggenti e sensitivi, si spulcia Facebook e si spera persino nel satellite che forse, chissà, potrebbe aver ripreso qualcosa, il 26 agosto. Era giovedì, nove giorni fa, quando è sparita Sarah Scazzi, quindici anni, nei 700 metri che dividono la sua casa, vicolo II Verdi, dalla casa di Sabrina, la cugina mitica, 22 anni, quella che l'ha tirata nel giro dei grandi con Carlo, con Ivano, coetaneo di Carlo: uscivano a quattro da maggio, tornavano anche alle tre di notte, dodici anni di differenza coi due ragazzi, che diavolo c'entrava Sarah con loro? Nel furgone Fiat, Carlo si spazientisce: «Voi giornalisti dovete smetterla di scrivere baggianate sul giro degli amici! Se no poi i carabinieri si mettono a indagare su di noi ed è la strada sbagliata. Qualcuno se l'è presa, Sarah, e adesso, dopo tanti giorni, sono sicuro che è morta... non pensare male, giornalista, lei era la nostra mascotte, la coccolavamo, passavamo sere al Pub 102, qua vicino, a dirle barzellette... lei manco beveva, solo succhi di frutta... alla festa di San Biagio tutti i peluche del tirassegno li regalavamo a lei... Un porco se l'è pigliata». Ma chi poteva mai attrarre?, dicono paresse una bambina... «Macché, poteva attrarre eccome, hai voglia se poteva!», è la risposta, che suona come un'unghia spezzata su una lavagna.
Tutto è così, quaggiù, sospeso tra l'innocenza più banale e il male più nascosto, come le fisime dark di Sarah (Sarah con l'acca, perché sprovincializza), Marilyn Manson e gli Slipknot nei poster appiccicati sul muro della sua stanzetta, tra demoni e teschi. Quella stanzetta tanto assurda e tanto comune, con due scaffali pieni dei peluche regalati da Ivano e Carlo: la camera che i genitori hanno mostrato e rimostrato dall'inizio, a tutti, anche ieri, aprendo cassetti, agende, album a qualsiasi richiesta. Perché questa è una storia asciutta, senza lacrime, in cui tutti sembrano recitare fuori copione, forse perché mamma Concetta e papà Giacomo sono così semplici da non avere mai imparato nemmeno a riconoscere le emozioni, o così umili da pensare di dover dire sempre sì ai «dottori» venuti da fuori paese; forse perché lui è via da anni, operaio a Milano, ormai con un'altra vita, torna solo d'estate e a chi gli chiede com'è la figlia dice «boh? Domandatelo a mia moglie»; forse perché lei, col suo henné rosso fiamma e le occhiaie profonde, diventata testimone di Geova nel periodo passato al nord col marito, è sfiancata da un'esistenza tosta e arida, e parla di Sarah come di una che passava: «Mai studiato, lei, stava tutto il tempo a ritagliare queste schifezze qua nella camera, maghi, zombie e vampiri, che non sono una bella cosa, no?».
Chissà se Sarah rabbrividiva qua dentro, chissà se anche da questo voleva scappare, inventandosi un profilo Facebook da Buffy l'ammazzavampiri o aggrappandosi a Sabrina, appena un po' meno mitica di Avril Lavigne, mito dei miti, la cantante preferita. Per saperlo, ancora ieri Fabrizio Viva, il luogotenente di Avetrana, ha sentito tre ragazzine, tre amichette. Ora Sabrina scuote la testa, «ho brutte sensazioni, mi sa che è morta», dice, anche lei senza un decibel spettinato, mentre con la madre Cosima, sorella di Concetta, va da un fotografo a riprodurre il filmino di una festa da dare a una tv, perché nel dvd c'è Sarah, ci sono tutti loro. Le tv sono molto importanti in questa storia: dicono che Claudio, il figlio grande degli Scazzi, che oggi torna da Milano, precario in un call center, abbia passato giorni a contattare «le tv del nord». «Chi l'ha ammazzata non ha avuto proprio cuore» dice ancora Sabrina, e la frase suona incongrua come quella di Carlo sulla bellezza della ragazzina.
In questo paese che non esiste, Sarah è un'occasione per esistere. Diventa importante persino il pupazzo «Spongie Bob» che le regalò Ivano, sicché lei scrisse sul diario «a Ivano voglio un sacco bene» e il ragazzo anche per questo è stato torchiato ore in caserma. Finché Sarah non si trova, acquista senso persino il budello di settecento metri da cui è svanita e che ieri il colonnello Di Blasio ha ripercorso, passo dopo passo, coi suoi carabinieri. Come se una porta, in quel budello di viuzze, si fosse aperta di botto il 26 agosto, ingoiando in un buco nero una bambina che cresceva in fretta.
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